“Finché non saremo libere” è questo il titolo della mostra inaugurata al Museo Santa Giulia di Brescia e dedicata al tema della condizione della donna nel mondo con un focus particolare sull’Iran.
Il titolo della mostra, visitabile fino al 28 gennaio 2024, altro non è che una citazione, declinata al femminile, del titolo del libro di Shirin Ebadi, avvocatessa e pacifista iraniana vincitrice del Premio Nobel per la pace nel 2003 per i suoi sforzi per la democrazia e i diritti delle donne e dei bambini rifugiati.
“Finché non saremo libere” prosegue ed espande un filone di ricerca promosso, a partire dal 2019, da Fondazione Brescia Musei che ha scelto di indagare i contesti geo-politici attuali attraverso la prospettiva e la produzione di artisti contemporanei.
Un’occasione per riflettere sulla condizione femminile nel mondo mettendo in luce drammatiche situazioni in cui i diritti umani vengono calpestati con indifferenza. Tra le artiste iraniane in mostra, per la prima volta in Italia, Sonia Balassanian, Farideh Lashai, Shirin Neshat, Soudeh Davoud e Zoya Shokoohi.
Ad aprire il percorso espositivo di “Finché non saremo libere” la videoinstallazione “Becoming” del 2015 realizzata dall’iraniano Morteza Ahmadvand che riflette sulla possibilità di convivenza tra culture e sulla necessità di abolite gerarchie e distinzioni tra popoli.
Un’esposizione che guadagna ancora più rilevanza dopo la proclamazione del Premio Nobel per la Pace 2023, che il prossimo dicembre verrà conferito a Narges Mohammadi, attivista iraniana, vice-presidente del Centro per la difesa dei Diritti Umani, imprigionata dalle autorità iraniane nel maggio 2016 e ancora in carcere per la sua battaglia contro l’oppressione delle donne in Iran e per promuovere diritti umani e libertà per tutti e l’assegnazione del Premio Sacharov 2023 per la libertà di pensiero a Jina Mahsa Amini e al movimento di protesta iraniano Donne Vita Libertà, annunciato lo scorso 19 ottobre a Strasburgo dalla presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola.