Il 17 marzo è data epocale per il Paese. Non solo perchè si verificò l’unità, ma perchè la nostra storia ci stava trasformando. Con questo avvenimento il Paese entrava nella modernità; diversamente non sarebbe diventata una potenza con valore politico, ma avrebbe continuato ad essere terreno di gioco delle potenze straniere.
La nuova idea italiana sia dal punto di vista militare che politico di unificazione, stava aprendo il paese ad una visione culturalmente liberale. Mazzini, Garibaldi e Cavour, furono i sostenitori dell’unificazione e lo fecero in maniera diversa: il primo scegliendo la via della forza, il secondo guadagnandosi il consenso politico grazie alla strategia militare ed il terzo usando la diplomazia verso i paesi europei.
I tre iniziarono a lavorare sulla ricostruzione di un senso di appartenenza nazionale di 12 Stati, ridotti a nove dal congresso di Vienna del 1815 e subito dopo a sette. Non esisteva unità linguistica in quanto le espressioni dialettali avevano la prevalenza. Lo stesso Camillo Benso conte di Cavour si esprimeva in francese, lingua con cui erano redatti gli atti del regno di Sardegna.
Il Risorgimento dunque fu evento centrale per la politica del paese. Come si suol dire, fatta l’Italia bisognava fare gli italiani, e dunque era necessario ricostruire una educazione non solo istituzionale, ma proprio culturale del Paese.
L’idea di superare la frammentazione di Stati da un punto di vista anche culturale ed economico, doveva comunque fare i conti anche con il fenomeno del brigantaggio che nel meridione soprattutto stava manifestando eccessivo malessere nei confronti dei governanti piemontesi. Quest’ultimo fu superato con la sospensione delle garanzie costituzionali, con la militarizzazione quasi completa delle regioni meridionali e con una repressione militare senza precedenti che vide però il Sud soffrire rispetto all’Unità. Dall’altra parte esisteva una plebe di contadini contadini che sperava nell’Unitá d’Italia come ora della liberazione dalla fame. Nonostante questi fermenti interni, il pensiero dell’unità stava per esplodere.
I decreti del 9 ottobre 1861 ci stavano avvicinando all’ottica centralizzatrice: con essi si segnava la fine dell’autonomia Toscana e della luogotenenza di Napoli. Si mise fine alla spinta autonomistica e l’idea di nazione italiana legittimava la politica dello Stato. L’ottica solidaristica di una cultura comune era la stessa a cui guardava l’Europa.
Dopo l’unificazione il Paese godeva di una arretratezza sia economica che sociale, oltre che demografica. La centralizzazione dello Stato portò all’incoraggiamento dello sviluppo economico attraverso il potenziamento di infrastrutture e all’obbligo scolastico secondo la legge Casati, che iniziò a garantire un livellamento culturale interno. Nel tempo, con l’avvicendarsi di personaggi politici vari, l’Italia iniziò ad avere una incredibile importanza strategica nello scenario internazionale.
Con la sua posizione centrale rispetto al Mediterraneo ed una politica che risultava finalmente stabile, oltre che unitaria, il commercio pian piano si risollevò e il Paese diventò un vero e proprio crocevia verso l’Europa centro settentrionale, ma anche verso Africa ed Asia; posizione che il Paese cerca di difendere anche oggi, e che l’unità nazionale con la svolta democratica invita a preservare, rendendo salda la nostra importanza geopolitica.


