L’imitare l’uso della plastica per l’impatto negativo che quest’ultima ha sull’ambiente è ormai una missione quotidiana portata avanti anche dal Trattato Globale delle Nazioni Unite per rendere obbligatorio un tetto globale per la produzione di plastica.
All’utilizzo smodato della plastica è inevitabilmente legato il termine di microplastiche, ovvero, le piccole particelle di materiale plastico generalmente più piccole del millimetro che si infiltrano nell’ambiente e negli alimenti umani andando a costituire una pericolosa minaccia non solo per gli ecosistemi ma anche per la salute umana.
E se un recentissimo studio ha dimostrato come le microplastiche finiscano anche nell’acqua che beviamo, un altro studio portato avanti dall’Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha dimostrato come le micro e nanoplastiche attacchino anche il cuore e precisamente le placche aterosclerotiche che, in questo modo, risultano più infiammate del solito con un conseguente aumento di rischio di ictus e infarti rispetto alle aterosclerotiche prive di plastica.
L’indagine, condotta su 257 pazienti con oltre 65 anni sottoposti ad un’endoartereoctomia, ha evidenziato l’elevatissima presenza di microplastiche nel 58,4% di essi.
Stando all’ultimo rapporto di Futur Brief sulle nanoplastiche della Commissione Europea è emerso che un adulto, in media, inala o ingerisce dalle 39.000 alle 52.000 particelle plastiche all’anno, pari a 5 grammi di plastica alla settimana, l’equivalente più o meno di una carta di credito.
E se si parla tanto di limitare l’uso della plastica va notato come la sua produzione sia aumentata in maniera esponenziale negli anni: dal 1950 ad oggi è aumentata vertiginosamente passando da 2 milioni di tonnellate a 400 milioni di tonnellate.