Vogliono uscire e rivendicano ascolto da parte dello Stato. Ritengono che il governo italiano li tenga sotto tortura e per questo in segno di protesta ingoiano lamette, cocci di bottiglia o si spaccano le ossa al muro. Gli episodi di autolesionismo del Cpr di via Corelli a Milano vengono perpetrati dai migranti al suo interno rinchiusi. Negli ultimi 10 giorni sono stati registrati 40 casi di autotortura.
Sperano così di arrivare al pronto soccorso per vedersi non riconosciuta l’idoneità alla vita nel Cpr. Il prezzo per la libertà è alto e questa forma di comunicazione e rivendicazione di un sistema detentivo agli estremi della dignità umana, ne è espressione.
Il corpo diventa dunque strumento di rischio a breve termine per la salute degli immigrati del Cpr. I detenuti potrebbero morire in ogni momento, ma i traumi auto inflitti, pur potendo avere conseguenze a lungo termine, sono l’unica deviazione che gli immigrati possono consentirsi per ricevere ascolto.
Chiedono una riabilitazione alla vita e non sanno se quest’ultima avverrà. Le condizioni psicologiche che accompagnano tali gesti sono ugualmente estreme e neppure un commissariamento giudiziario è riuscito a mutarle. La detenzione amministrativa del Cpr rivela la sua natura fortemente psicogena, ragion per cui attraverso questi gesti gli immigrati ne rivendicano la chiusura.