Giorgia Meloni criticata a Bruxelles per la linea dura sull’aborto in Italia. A puntare il dito contro la premier ed il sistema del Bel paese è la prima ministra spagnola Ana Redondo che ha lasciato scorrere liberamente il suo pensiero su X parlando di “pressioni del governo sulle donne che intendono interrompere la gravidanza” nello stivale.
L’osservazione muove dall’eccessiva presenza degli obiettori di coscienza ovvero degli esponenti pro vita presenti nei consultori italiani. La ministra delle parità spagnole Irene Montero, ha caldeggiato l’opinione della collega, parlando di importante diritto alla salute delle donne non tutelato dall’Italia che rischia con la negazione dell’aborto di mettere a repentaglio la vita e la sicurezza di chi diversamente, andrebbe a ricorrere a metodi non proprio sicuri per aggirare gli ostacoli di un ‘no’ al consultorio.
L’atteggiamento italiano secondo gli spagnoli infatti non risulterebbe atto di garanzia della parità di genere tra uomini e donne del paese. Con tono piccato la premier Giorgia Meloni ha risposto alle colleghe iberiche lasciando loro capire che immischiarsi in questioni interne di un altro paese non fosse la strada giusta da perseguire. Ha definito “ignoranti” le due donne che si sono espresse sul tema, replicando loro di dover avere “la buona creanza di non dare lezioni”.
Intanto solo due giorni fa una protesta ha cercato di difendere la piena libertà di scelta delle donne e della conseguente legge 194. Fratelli d’Italia però vorrebbe creare e favorire alternative concrete all’aborto con una politica che crei una autodeterminazione non ideologica ma pratica.
Micaela Di Biase, deputata del Partito Democratico sottolinea in risposta che “la destra vuole aprire i consultori alle associazioni antiabortiste“. “Con un emendamento inserito di nascosto nel decreto Pnrr cercano di smantellare i principi della legge 194 mettendo in discussione il diritto delle donne all’interruzione volontaria di gravidanza. È inaccettabile”, tuona.
La 194 datata 1978, rivolta all’ “interruzione volontaria della gravidanza”, ha sancito un cambiamento culturale per le donne italiane. Prima di allora l’aborto era reato inserito nel “codice Rocco”. Le sanzioni riguardavano sia chi cagionava l’aborto sia la donna che consentiva ad esso. L’Italia si ispirò alla Corte americana che per prima sancì il principio del diritto della libera scelta della donna sulla propria sfera di intimità. La Corte suprema statunitense Roe vs Wade collocò il diritto di aborto all’interno del diritto alla privacy e negò lo statuto di “persona” al feto.
A distanza di 46 anni le Regioni italiane devono trovarsi a fronteggiare con difficoltà, l’accesso all’aborto da parte delle donne. Nelle Marche, ad esempio è stata eliminata la possibilità di effettuare l’aborto farmacologico nei consultori, consentito invece, in regime ambulatoriale, solo in 3 regioni su 20: Toscana, Emilia Romagna e Lazio. Secondo l’Associazione Luca Coscioni, in almeno quattro regioni la percentuale di obiettori di coscienza presenti supera l’80 per cento. Le donne che intendono abortire devono farlo fuori Regione, viaggiando in tutta Italia alla ricerca di chi le aiuti ad esercitare il loro diritto garantito dalla 194. In questo contesto il Paese si pone in netto contrasto alla Francia in primis (che ha inserito il diritto all’aborto nella Costituzione), e alla Spagna che di fatto ci ha attaccato sui social. La discussione è dunque più di una polemica, perchè adesso vede la politica nostrana nettamente divisa su un tema che riguarda il diritto delle donne e che potrebbe minare le politiche di genere su cui invece, il Paese sembra voler stabilire criteri fondanti ed evolutivi. Come sempre agli occhi del mondo siamo capaci di essere esempio di chi predica bene e razzola male!


