“Non so dove buttarlo”, nuove rivelazioni sul bracciante indiano morto a Latina

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Una morte bianca frutto della disumanità nei confronti di un immigrato. Si tinge di particolari orrendi la narrazione del testimone convocato dai giudici di Latina sull’inchiesta del bracciante indiano morto sul lavoro.

Quando Satnam Singh ha perso il braccio in un macchinario da lavoro, era ancora vivo. Lo conferma l’amico e collega Tarnjit Singh.

Il bracciante è morto a causa della crudeltà del proprio datore di lavoro, che vedendolo ferito ha dichiarato senza cuore: “Non so dove buttralo”.

Neppure le urla dell’uomo hanno suscitato la sua compassione. Il dolore espresso in grido disumano lo ha sentito bene Tarnjit. “Gridava fortissimo, implorava il cielo di aiutarlo”, ha dichiarato il testimone oculare.

E intanto Antonello Lovato, titolare dell’azienda agricola in cui lavoravano, diceva che l’uomo era morto. Tutto questo mentre la moglie della vittima, Soni, insisteva ribadendo che il marito respirasse e che poteva essere aiutato.

Chiamate un’ambulanza”, ribadiva la donna, ma l’imprenditore aveva già deciso che fine dovesse fare il bracciante. Doveva forse evitare il problema sul nascere, sbarazzandosi di un uomo, quand’anche potesse essere in vita, seppur invalido.

La logica del potere, dell’autotutela, dell’egoismo, doveva prevalere sul rispetto della dignità umana, e sulla ragione della compassione.

La storia di Satnam apre una piaga ancora più grossa sulle condizioni degli immigrati. L’uomo ha perso un braccio che gli è stato gettato in una cassetta della frutta, come fosse un oggetto da far convogliare nell’immondizia. Invece era un arto; era il simbolo dell’operosità, del fare e della dignità di un uomo, calpestata nel momento in cui il suo corpo sanguinante doveva stare riversato a terra, a guardare l’arto amputato, e a pensare se fosse arrivato vivo a casa, dopo una giornata di lavoro, anche incidentata.

“Sono Tarnjit Singh, ho 30 anni e sono arrivato in Italia attraversando il Mediterraneo. Per un anno ho lavorato con Agrilovato”. Così inizia il racconto del testimone e amico di Satnam.

L’incidente della vittima 31enne poteva comunque essere riparato da un intervento repentino del 118, che invece il datore di lavoro non ha voluto chiamare. Lovato, indagato e ai domiciliari, ha avuto una “condotta disumana e lesiva dei più basilari valori di solidarietà”, come sottolineato dal pm.

Il bracciante ferito è stato da lui abbandonato insieme alla moglie, perchè Lovato aveva fretta di scappare. La sua condotta ha dunque causato la morte dell’uomo, secondo gli inquirenti.

Satnam è stato condannato a morte dall’indifferenza umana, ragion per cui in tanti chiedono adesso giustizia per la famiglia dell’uomo.

Pina Stendardo
Pina Stendardo
Giornalista attenta ai fermenti quotidiani, raccontati con umanità. Convinta che scrivere sia un atto d’amore e responsabilità, ama divulgare il bello dell’Arte e del sociale, proponendo una narrazione alternativa sullo spaccato culturale.

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