Visioni Reali con Sergio Rubini: “I Fratelli De Filippo non sono personaggi museali, ma riformatori della dialettica teatrale”

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Nel magnifico scenario della Reggia vanvitelliana si accendono i riflettori sul film ‘I Fratelli De Filippo’, diretto da Sergio Rubini. Il Reggia Festival – Visioni Reali, offre, nel suo penultimo appuntamento, l’occasione al pubblico non solo di assistere alla proiezione, ma di apprendere la genesi di un girato che racconta lo spaccato dei De Filippo ad inizio ‘900. Sergio Rubini sceglie nel cast Mario Autore, Domenico Pinelli, Anna Ferraioli Ravel, per una pellicola giovane che tratta di monumenti del teatro italiano.

Il film che è valso il David 2022 per la Migliore colonna sonora affidata a Nicola Piovani, narra la storia di una ferita familiare, ma al contempo di un’Italia che si emancipa attraverso i suoi figli. Così tre giovani, unendo le forze, proiettano il teatro napoletano verso un luminoso futuro che ancora oggi continua a splendere e ad omaggiare la vera arte.

Sergio Rubini, appassionato di Eduardo fin da bambino, ci rivela il suo approccio ai tre De Filippo, dalla stesura della sceneggiatura del film, fino alla direzione della regia.

– Sergio, chi ama i De Filippo, ama Napoli. E’ anche il suo caso?

La storia dei De Filippo è storia di Napoli inevitabilmente, ma anche storia del teatro napoletano, d’Italia e del suo riscatto. E’ una vicenda che ho appreso studiando lentamente e che mi ha fatto amare Napoli ancora di più. Mi sarebbe piaciuto trasformarla in una serie tv. Il vissuto  emblematico dei tre fratelli ci dimostra come, pur partendo dalle retrovie, italiani onesti come i De Filippo, sono riusciti a dare spazio al buono del nostro Paese. Noi abbiamo girato tutto dal vero, in una città che ha luoghi di autenticità che hanno permesso a un lavoro di 7 anni di avere luce. La storia di questi tre attori è per me materiale pregiato che mi piacerebbe continuare a raccontare. 

Cinema sotto le stelle nella Reggia Vanvitelliana. Cosa le passa per la mente al momento?

Penso che facciamo un lavoro bellissimo, siamo in un luogo stupendo ed abbiamo l’opportunità di coltivare continuamente la bellezza. E’ una vera emozione portare questo film a Caserta. 

Lei è di origini pugliesi, trapiantato a Roma. Come si è accostato al patrimonio artistico napoletano che tutto il mondo ci invidia?

Quando ero ragazzino, agli inizi della mia storia professionale, ho debuttato in una compagnia napoletana e c’era un mio collega che mi raccontò che tutti i giorni, alle tre del pomeriggio, un cameriere usciva da Palazzo Scarpetta a Via Vittorio Colonna, per portare da mangiare ai De Filippo. Questa immagine che mi regalò quell’attore quando avevo 20 anni, mi era rimasta impressa. Poi ho avuto la fortuna di conoscere Peppino, andai a trovarlo a teatro e mi accolse anche in camerino. Inutile dire che ho sempre amato Eduardo, ma non essendo campano avevo paura di non essere attrezzato nel raccontare una storia così napoletana. Poi anni fa un produttore, Agostino Saccà mi chiese se avessi avuto intenzione di realizzare una storia per la tv ed io in tempi non sospetti gli dissi di aver approfondito la vicenda dei De Filippo e di volerla raccontare nella sua drammaticità. Gli venne la pelle d’oca e su questa pelle d’oca è nato il film. 

Il film ‘I Fratelli De Filippo’ da lei diretto ha riscosso gran successo. Tutto merito suo o del soggetto trattato?

È un film che ha avuto successo perché ha dialettica. Solo a Napoli più di 400.000 persone lo hanno visto e per me questo dato è stato una medaglia. La bellezza di questo film sta soprattutto nei suoi attori. Non bisogna prendere personaggi famosi perché un film funzioni. Per quanto mi riguarda volevo  fare un film sulla formazione di tre ragazzi, come se stessimo parlando di una band. I De Filippo non sono personaggi museali. Sono stati riformatori delle regole del teatro. Avevo bisogno come primo ingrediente della giovinezza. Per questo ho scelto giovani attori non noti, che grazie a questo film diventeranno notissimi.

Pina Stendardo
Pina Stendardo
Giornalista attenta ai fermenti quotidiani, raccontati con umanità. Convinta che scrivere sia un atto d’amore e responsabilità, ama divulgare il bello dell’Arte e del sociale, proponendo una narrazione alternativa sullo spaccato culturale.

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