Minorenni e violenza. Proliferano i casi in cui i giovanissimi impugnano armi, stuprano, bullizzano o si danno alla mala vita. La sintomatologia socio-comportamentale accende i riflettori sulla genitorialità che, gioco forza, dopo i più cruenti fatti di cronaca, è costretta a giungere al banco degli imputati, come avvenuto anche il 31 agosto, per l’assassinio del giovane musicista napoletano, Giovanbattista Cutolo.
Da un lato c’è una madre che scende in campo e parla, a ragione, di due volti di Napoli: una violenta ed un’altra perbene. In aggiunta, chiede alla città di dare un segnale in nome dei valori e di questo volto positivo, partecipando tutta ai funerali del figlio; dall’altro lato c’è un padre, genitore del killer 17enne che ha ucciso Cutolo, a cui è affidato l’ingrato compito di “mettere una toppa” sull’errore del figlio, chiedendo perdono. Ed è quanto ha fatto con una dichiarazione di colpevolezza.
“Immaginiamo il ragazzo a terra, la famiglia che non lo vede più… ci sta distruggendo l’anima. Chiedo solo perdono al padre, alla madre, alla famiglia, ai compagni, a tutti. Io, più di inginocchiarmi a loro, non so cosa dirgli, ma mi butterò ai loro piedi e chiederò perdono per mio figlio. Mio figlio deve pagare”, dice in lacrime il padre dell’assassino.
“Posso cominciare solo a chiedere perdono a questa famiglia. È una cosa bruttissima. Solo al pensiero… è una settimana che stiamo distrutti tutti. Noi siamo una famiglia che ha sempre lavorato. Ci sono stati degli sbagli, degli errori che ho fatto anche io, che ho commesso nel passato. Ho trovato la mia strada e sto lavorando. Mio figlio l’ha fatta molto grossa e la deve pagare per tutto quello che la Giustizia chiede. Noi non ci siamo opposti a nulla, abbiamo solo cercato di dire di aiutarlo. Tramite assistenti sociali, persone con cui può parlare un ragazzo di 17 anni. Ha fatto una bruttissima cosa e va condannato e deve pagare per quello che ha fatto“.
“Mi vivo molto il fallimento di me stesso per non aver potuto dare più tempo a mio figlio, per portarlo su una strada migliore. I genitori di Giovanbattista hanno tutto il mio appoggio. La giustizia deve arrivare, arriverà. Togliere una vita è la cosa più grave che esista al mondo, è una cosa che ti porterai dietro per tutta la tua vita. È giusto che sia così. Perché tu hai la fortuna che adesso vivi. Lui non ce l’ha, la fortuna“.
Non c’è pace per un genitore che perde un figlio, sia che purtroppo muoia o che finisca in galera macchiandosi la condotta. La mamma di Giovanbattista ed il padre dell’assassino sono entrambi interlocutori di una società che ora deve dare l’esempio. Nessuno potrà purtroppo portare indietro il giovane musicista ucciso a Piazza Municipio a Napoli ed il dolore la fa da padrone, sia in un caso che in un altro.
“Non ti rendi conto che un figlio di 16, 17 anni, può essere vulnerabile e tu pensi solo ad andare avanti, a vedere di mandare avanti la famiglia, di farla stare bene. Ma forse non ti rendi conto di quello che fanno la notte. Perciò io sto pensando solo al figlio, sto pensando solo a questa persona che sta a terra. A me quello mi sta distruggendo. Arriviamo a tavola così la sera, vedi, senza mettere il sale, niente, non riusciamo neanche a mangiare. Ci guardiamo e immaginiamo quel ragazzo a terra, la famiglia che non lo vede più. Ci sta distruggendo l’anima, ci sta distruggendo davvero. Non hanno più un figlio, ma che gli vai a dire?”.


