Efferato, lucido, determinato e disumano. Filippo Turetta ha ucciso Giulia Cecchettin in 22 minuti e a tre riprese, vedendola grondare sangue mentre lottava disperata per salvarsi la vita; infierendo sul suo corpo senza essere pago del male arrecatole; imbavagliandone la bocca per rendere vano ogni suo grido di ribellione ed esistenza.
I genitori restano increduli sulla sua premeditazione, ne evidenziano la sofferenza per la fine della relazione con la sua coetanea ed accennano a qualcosa che evidentemente “non ha funzionato nel cervello del figlio”, ragion per cui “forse voleva sequestrarla per non farle dare la tesi e poi gli è scoppiata una vena in testa e la situazione è degenerata”.
“Siamo tutti sgomenti. Filippo in casa non è mai stato violento. Dormiva con l’orsacchiotto – dice Nicola Turetta – ed ha vagato senza una meta; non aveva un piano secondo noi. Ora è molto provato”.
Intanto i segni della premeditazione c’erano tutti. Lo confermano i giudici, che lo hanno definito ben consapevole di quanto stesse facendo e pericoloso per altre donne a causa dell'”inaudita ferocia” usata contro Giulia.
Il presidente del Tribunale tedesco ha dato il via libera alla consegna in Italia di Filippo Turetta, che ha accettato il rientro nel nostro Paese. Emergono intanto le prime dichiarazioni rilasciate dall’assassino al momento dell’arresto: “Ho ucciso la mia ragazza”. Cinque parole che racchiudono tutto il senso del femminicidio. Quel “mia” che indica un’appartenenza illecita ed ossessiva, perchè Giulia non era più la “sua” ragazza, ed il verbo “ho ucciso” che sancisce l’atto illegittimo della violenza di un’ossessione per la 22enne.
Un muro di fiocchi rossi, fiori e biglietti ricordano ancora Giulia, a distanza di oltre una settimana, mentre l’avvocato del killer ritiene una perizia psichiatrica utile a valutare la capacità di intendere e di volere del suo assistito, dal momento che “nessuno fino ad ora aveva avuto alcun sospetto su Filippo”.
Nicola Turetta va sulla difensiva davanti al mezzo stampa e risponde alle accuse rivolte alla loro responsabilità genitoriale con queste parole. “Ci fa male vederci additare come famiglia simbolo del patriarcato. Cosa doveva fare mia moglie? Non stirargli la tuta quando andava a pallavolo? Non preparargli la cotoletta quando tornava? Filippo soffriva, ma con Giulia continuavano a vedersi. I ragazzi a quell’età si lasciano e rimettono insieme. Mi hanno detto che dovevo preoccuparmi se quando andava a letto abbracciava l’orsacchiotto pensando a Giulia. Io non ho dato peso a questa cosa”.