Che cos’è la violenza psicologica, e fino a che punto essa si può spingere? Occorre chiederselo quando parliamo di introduzione di volontari o associazioni antiaborto nei consultori. Se da un punto di vista normativo esistono molti dubbi o eventuali falle sull’applicazione della legge 194, che a furor di popolo risulta incompleta ed inadeguata rispetto alle esigenze del 2024, da un punto di vista pratico occorre raccontare cosa avviene realmente nella psiche di una donna che compie questa scelta mai facile.
Basterebbe aver letto il libro di Oriana Fallaci ‘Lettera a un bambino mai nato’, per capire il legame che esiste tra una donna e l’idea della maternità.
“Perché avrei dovuto, mi chiedi, perché avresti dovuto? Ma perché la vita esiste, bambino! Mi passa il freddo a dire che la vita esiste, mi passa il sonno, mi sento io la vita. Guarda s’accende una luce. Si odono voci. Qualcuno corre, grida, si dispera. Ma altrove nascono mille, centomila bambini, e mamme di futuri bambini: la vita non ha bisogno né di te né di me. Tu sei morto. Forse muoio anch’io. Ma non conta. Perché la vita non muore”, scriveva la Fallaci, lasciando immaginare l’esistenza di un dibattito interiore che nella donna si insinua già di per sé nel momento in cui apprende di essere incinta e subito dopo matura la scelta di non poter o volere tenere il bambino, fino a logorarsi le meningi ed anche l’anima.
Far sentire il battito del feto nonostante si sia scelto di interrompere volontariamente la gravidanza, viene vissuto dalle donne che ricorrono ai consultori come coercizione della volontà. Questa forma di intervento può infatti portare ad un trauma psicologico, ansia, depressione cronica, disturbo da stress post traumatico, tutti configurati come sintomi della violenza psicologica.
A testimoniarlo sono le numerose segnalazioni pervenute al Centro donne contro la violenza di Aosta. Negli ultimi giorni le donne ricorse ai presidi sanitari pubblici del territorio regionale per accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, hanno raccontato di aver subito interferenze e pressioni da parte di volontari nella loro scelta.
L’imposizione dell’ascolto del battito fetale o le promessa di sostegni economici e beni di consumo, sono state lette come atti insistenti di dissuasione verso donne che hanno chiaramente dichiarato che la propria scelta era sofferta, ma dovuta a ragioni personali.
Da qui l’iniziativa del Centro donne di Aosta, che in sinergia con i Centri antiviolenza aderenti alla rete nazionale Di.Re-Donne in rete contro la violenza, ha scelto di avviare azioni di monitoraggio della corretta applicazione della legge 194/1978 nel territorio regionale.
“Il Centro donne condivide, infatti, le preoccupazioni da più parti espresse per la scelta del Governo di prevedere, con un emendamento alla legge 194, la possibilità per i consultori, presidi pubblici di accoglienza e tutela della salute della donna, di concordare la presenza delle c.d. associazioni pro-vita, non solo a supporto dei percorsi di maternità difficile dopo la nascita, ma anche nella delicatissima fase di maturazione della decisione di interrompere, o meno, la gravidanza”, si legge in una nota emanata.
In riferimento alla legge 194, al di là che si sia pro vita o meno, non si può prescindere dal legare con una norma la volontà della persona sulla propria scelta di vita ancorata al proprio corpo; cosa che è assolutamente personale e inoppugnabile, condivisibile o meno che sia.


