Immolati sull’altare della legalità. Trentadue anni fa, sotto il botto di una carica di tritolo moriva a Capaci Giovanni Falcone. Era il 23 maggio 1992 e Cosa Nostra aveva decretato la sentenza di morte del giudice antimafia. Doveva essere messo a tacere mentre era di ritorno da Roma su un’auto. Con lui c’era anche la moglie Francesca Morvillo (53 anni), e naturalmente c’erano gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo.
In una giornata di 23 gradi, in soli 1 minuti e 48 secondi, si consuma l’ultimo viaggio del magistrato alla guida di una Fiat Croma. L’autista giudiziario Giuseppe Costanza si accomodò sul sedile posteriore. A scortare Falcone c’erano altre due vetture: una Croma marrone con Schifani e Montinaro, e una Croma azzurra con Capuzza, Cervello e Corbo. Le tre auto in fila imboccarono l’autostrada A29 in direzione Palermo. Poco distante si collocò un’altra vettura con due uomini del malaffare. Augusto la Barbera seguiva le auto del magistrato ed era in contatto con Antonino Gioè e Giovanni Brusca, pronti a dare il segnale di esplosione.
C’era già stato un altro tentativo di attentato a Falcone, ma non era riuscito. Ora bisognava arrivare al dunque.
Il maxiprocesso era ciò che i malavitosi volevano evitare perchè coinvolgeva non solo loro, ma anche i rapporti con i potenti delle istituzioni che avrebbero fatto tremare ogni sovrastruttura. Falcone ci stava lavorando cercando di smontare il lavoro di cosche, affiliati, malaffare. Palermo era diventata una città militarizzata, in cui la tensione si palpava in modo tangibile nell’aria.
La città si preparava, per volontà del magistrato Falcone, ad essere un grande palcoscenico di giustizia. Giovanni era determinato, ed anche se consapevolmente impaurito, sceglie di andare avanti per dovere civico ed istituzionale nella sua inchiesta di ricostruzione della vita della mafia.
Falcone sapeva però smorzare questa tensione, racconta chi lo ha conosciuto. Aveva la battuta pronta, anche se spesso era taciturno. Pensava al da farsi, al tempo da spendere in modo giusto per arrivare al suo intento di dimostrare che lo Stato ce la poteva fare.
Quando nel pomeriggio del 23 maggio 1992 la sua auto saltò in aria in un tratto autostradale, l’Italia intera si fermò, così come la paura che lo Stato che stava rappresentando Falcone, adesso potesse avere un bavaglio. Con la morte di Falcone e dei suoi agenti, Cosa Nostra voleva intimidire l’Italia e gli italiani, ed in particolar modo donne ed uomini in divisa.
Dopo il primo silenzio ed il pianto che proruppe al momento della diffusione della notizia in tv e sui giornali, qualcosa mutò e sorse la determinazione. Quella stessa tenacia che aveva portato Falcone a dire che il suo senso del dovere era più forte anche della paura, ritornava negli italiani e negli uomini in divisa, per cui il 23 maggio è diventata non giornata di una strage, ma giornata di Legalità. Falcone diventa esempio. Cosa Nostra non ne cancella la storia, l’ardore, la memoria.
Nel discorso tenuto alla veglia di commemorazione per l’amico e collega Falcone, il 20 giugno 1992, Paolo Borsellino dichiarava: “Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la Mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua morte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte. Non poteva ignorare, e non ignorava, Giovanni Falcone l’estremo pericolo che
egli correva, perché troppe vite di suoi compagni di lavoro e di suoi amici sono state
stroncate sullo stesso percorso che egli si imponeva. Perché non è fuggito; perché ha accettato questa tremenda situazione; perché non si è turbato; perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? PER AMORE!”.
Di lì a poco anche Borsellino avrebbe affrontato la stessa sorte, ma questo amore per il paese, per la gente che meritava onestà, è lo stesso amore che raccoglie tanti giovani intorno alle istituzioni nelle piazze, nel giorno in cui l’albero di Falcone, a distanza di 32 anni, ha fatto germogliare tanti frutti di legalità.