“Beau ha paura”: in sala l’odissea surrealista dell’istrionico Joaquin Phoenix

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È uscito in sala ieri 27 aprile, l’attesa pellicola del regista Ari Aster dal titolo “Beau ha paura”.  Si tratta del suo terzo lungometraggio dopo i tanto discussi “Hereditary” e “Midsommar” in cui il registra ha mostrato il suo modo di fare cinema.

Quello di Aster è un cinema profondamente intimista, surreale che tanto prende dal canonico horror per poi essere completamente rivisitato. Aster parte da un assioma, che ben aveva comunicato nei suoi film precedenti, secondo cui, il vero horror, si annida nella realtà e, per questo, non c’è bisogno di misteriosi assassini o di mostri spaventosi.

Protagonista di “Beau ha paura” è il Premio Oscar Joaquin Phoenix, attualmente impegnato sul set del sequel di “Joker”, che dà vita ad un personaggio complesso: Beau, cercando di rientrare a casa, percorre strade che non sono tracciate su nessuna mappa perdendosi in viaggi mentali e non. A fare da sfondo alle vicende di Beau è il suo quartiere: un luogo martoriato in cui i cadaveri dei senza tetto vengono lasciati ai margini della strada. Beau ha paura e le sue paure sono irrazionali e ingiustificabili, alcune reali altre meno. L’intero mondo che lo circonda è filtrato dai suoi occhi e il reale e il surreale si mischiano in un’odissea complessa che spiazza lo spettatore.

Il paragone imminente potrebbe essere con il criptico David Lynch ma le pellicole di Aster sono sempre segnate da un’ironia che dilaga all’improvviso. Mentre, a livello letterario, non si può non pensare all’ “Ulisse” di James Joyce in quanto, anche Beau, vaga in una città immerso nei suoi flussi di coscienza.

Ari Aster in “Beau ha paura” continua, comunque, a sondare il terreno già smosso nelle precedenti pellicole con un protagonista con forti complessi legati al mondo femminile (dal rapporto complicato con la madre e con le altre donne) e la costante paura della morte ripreso proprio da un cortometraggio realizzato dal regista anni fa. Il film, di matrice fortemente psicanalitica, si apre proprio con una seduta di analisi e, l’intero film, potrebbe essere definito una profonda analisi psicologica del protagonista interamente incentrata sul concetto del “perturbante” freudiano.

Un film che potrebbe essere definito un comedy horror dove, i generi si mischiano fino a diventare indistinguibili rendendo il prodotto unico.

Chiara Imbimbo
Chiara Imbimbo
Laureata in Filologia Moderna alle Federico II di Napoli con una tesi in critica letteraria. Iscritta all’albo dei giornalisti come pubblicista coltiva la passione per il cinema, la lettura e la scrittura.

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