Una frana da non dimenticare. Sessant’anni dopo si ricorda il disastro del Vajont, in cui persero la vita quasi 2 mila persone. Era la notte del 9 ottobre 1963 quando si staccarono dal monte Toc, improvvisamente, 263 milioni di metri cubi di terra.
Nella calamità naturale furono coinvolte 1.910 persone che persero la vita. Tra esse c’erano 487 bambini. Poteva essere evitato? Certamente! A stabilirlo è sia la politica che i geologi. All’epoca c’erano stati ben due segnali premonitori sul dissesto montuoso: nel 1959, 3 milioni di m3 di roccia franarono nel bacino di Pontesei, legato al Grande Vajont; il 4 novembre del 1960 un’altra frana coinvolse il bacino della diga del Vajont. Non ci furono danni in entrambi i casi, ma gli esperti non lessero gli ammonimenti che questa diga all’avanguardia da un punto di idroelettrico, stava dando. C’erano state anche scosse di terremoto che la gente del posto aveva avvertito e di cui temeva, ma né ingegneri, né geologi diedero alcuna allerta.
La tragedia arrivò puntuale e inferse una ferita all’Italia intera. Il problema della sicurezza del territorio allora come ora, avrebbe dovuto essere una priorità, ragion per cui la premier Meloni, in questa giornata di commemorazione, ha ribadito: “Nel ricordo delle vittime del Vajont continueremo a lavorare per un’Italia più sicura”.
Puntuale la visita di Sergio Mattarella al cimitero di Fortogna, in provincia di Belluno. Il Presidente della Repubblica, alle 10.30 di questa mattina, ha partecipato alle celebrazioni dei 60 anni del disastro veneto. Alle 11.30 si è recato sulla diga del Vajont, dove il Capo di Stato visiterà poi la tendostruttura allestita ai piedi della Chiesa di Sant’Antonio, in cui si terranno gli interventi istituzionali della giornata.
