Giornata di sciopero in Islanda. Oggi incrociano le braccia migliaia di donne che chiedono parità salariale. Tra esse c’è anche la premier Katrín Jakobsdóttir, che dice ‘no’ alla discriminazione economica.
Il gender pay gap è al centro della protesta che durerà un giorno intero. L’episodio risulta epocale, in quanto secondo nella storia dell’Islanda, dopo il 1975. Allora l’80% delle donne protestò per il diritto al lavoro, inseguendo una inversione culturale che spiegasse agli uomini il valore delle donne nel mondo occupazionale.
Tra le manifestanti ci sono esponenti politiche, insegnanti, medici donne, signore impiegate nell’ambito delle pulizie, penalizzate nei rispettivi settori lavorativi. Sarà questa, anche l’occasione per ribellarsi a tutte le violenze sessuali e di genere.
Tanti i cortei previsti in diverse città, con maggiore capillarità nella capitale Reykjavik. Nonostante secondo il World Economic Forum l’Islanda sia da 14 anni il Paese al mondo più vicino alla parità di genere, dietro a nazioni come Liberia, Giamaica e Norvegia, l’isola vulcanica mira ad un ulteriore miglioramento dei salari femminili, reputati troppo bassi.
“Non lavorerò oggi, poiché mi aspetto che lo facciano anche tutte le donne che fanno parte del governo”, ha detto la premier Jakobsdóttir, impegnandosi a legiferare con il governo per assicurare pari diritti alle donne nei campi tradizionalmente dominati dagli uomini.
La protesta poggia su dati socio-culturali significativi: l’Unione islandese degli insegnanti asserisce che il 94% delle donne sia impiegato in tutti i livelli del sistema educativo; ragion per cui questo sciopero diventa un fatto non solo pratico, ma soprattutto culturale, affinchè la società compia fattivamente un passo in avanti non solo in Islanda, ma nel resto del mondo.


