Ritorna l’appuntamento con il Dantedì 2024, la giornata nazionale istituita dal Ministero della Cultura in memoria di Dante Alighieri. La data cade il 25 marzo, per ricordare, secondo gli studiosi, il giorno in cui il sommo poeta iniziò la mirabile visione che lo portò alla composizione della Divina Commedia.
In tutta Italia la si celebra con eventi e celebrazioni per conoscere attraverso le opere del laureato fiorentino, aspetti inediti e culturali della sua vita. Anche le programmazioni TV si adeguano alla giornata dedicando parte dei loro palinsesti alla cultura, proiettando il docufilm “Mirabile Visione: Inferno” di Matteo Gagliardi.
Il primo canto dell’Inferno fu scritto probabilmente nella notte tra giovedì 24 e venerdì 25 marzo del 1300. Dante Alighieri aveva 35 anni e si trovava “nel mezzo del cammin della sua vita”, parafrasando il Salmo XC.10, “I giorni dei nostri anni arrivano a settant’anni e per i più forti a ottanta”. Se si considera l’età media di un uomo di circa settant’anni, la metà di questa cade proprio a 35.
Il viaggio nell’aldilà comincia all’alba del Venerdì Santo, data sicuramente incerta, ma significativa. Dante si incammina nelle sue tre cantiche. Cade in un sonno profondo che si trasforma in sogno che prevede un lungo percorso pieno di ostacoli.
Alla dimensione del sogno il poeta affida l’ingannevolezza del mondo sensibile umano. Userà lo stesso espediente dei sogni anche all’interno della Vita Nova. Ma è nella Divina Commedia che i tre sogni profetici assumono carattere divinatorio. Dante sogna la prima volta sul monte del Purgatorio prima dell’alba; poi sperimenta il suo clinamen per altre due volte, quasi a voler riassumere le ragioni che lo hanno indotto a intraprendere il suo viaggio.
Esperienza forte, che il sommo poeta tradusse anche nel passaggio ad una lingua nuova: l’italiano, sostituendolo al latino dei dotti. Dante diventò così contemporaneamente ‘Padre della patria e della lingua italiana’, racchiudendo intorno alla Divina Commedia un paradigma non solo contenutistico, ma ideologico, teso alla questione della lingua di un popolo finalmente unito dalla favela comune.


