Cambia il concetto lavorativo. Dal primo aprile per legge si dice addio allo smart working. Mentre continuano gli accordi tra aziende e lavoratori sul tema, diventa fondamentale il lavoro in presenza. La decisione arriva dalla presa di consapevolezza della fine di un’emergenza nata con il coronavirus.
Gli psicologi interpellati sull’efficacia della nuova disposizione legislativa sostengono che la forma mista lavorativa tra metà ore in presenza, e metà in remoto, sia la soluzione migliore per la tutela di lavoro e lavoratori.
Sul tema dei diritti invece gli psicologi sostengono che l’opzione per i lavoratori debba restare aperta. L’idea di flessibilità infatti avrebbe impatto positivo sul comportamento psicologico del lavoratore.
Bocciato l’emendamento milleproroghe, deputato ad estendere il diritto allo smart working nel privato per genitori di figli minori di 14 anni, con la Pasqua si dice addio a quella che per l’Italia è stata la nuova frontiera occupazionale per ben sei anni. Il cosiddetto lavoro agile è in realtà diffuso più nel privato che nel pubblico. Conservare una tale flessibilità consentirebbe alle aziende l’opportunità di mantenere talenti, disciplinando un lavoro che in continuativa temporale verrebbe portato avanti.
Non è un caso che soprattutto nel settore del credito lo smart working, con un controllo di ingressi ed uscita, riesca ad essere ancora una misura valida.
L’orientamento generale delle aziende resta quello di conservare lo smart working, analizzando il cambiamento delle attuali dinamiche ed esigenze lavorative; nella pubblica amministrazione invece, la fine dello smart-working è certa.