Quarantasei anni fa, il 9 maggio 1978, veniva ucciso a Cinisi (Sicilia) Giuseppe Impastato, meglio conosciuto come Peppino, giornalista, attivista e voce libera contro la mafia. Un sacrificio che ancora oggi risuona come monito contro le illegalità e le sopraffazioni, e che continua a ispirare generazioni di giovani nella lotta per la giustizia e la legalità.
Peppino Impastato nacque a Cinisi nel 1948, in un contesto sociale fortemente condizionato dalla presenza mafiosa. Fin da giovane, si ribellò all’ambiente in cui era cresciuto, rifiutando il potere mafioso e la sua omertà. Il suo impegno contro la criminalità organizzata si espresse attraverso diverse iniziative: dalla fondazione del giornale “L’Idea Socialista”, alle trasmissioni radiofoniche di “Radio Aut”, in cui denunciava senza timore i soprusi dei boss e le collusioni con esponenti politici.
L’omicidio di Peppino Impastato, inizialmente insabbiato e depistato come un suicidio o un atto terroristico, trovò finalmente giustizia grazie all’incessante tenacia della madre, Felicia Bartolotta, e del fratello, Giovanni Impastato. Nel corso degli anni, la figura di Peppino è emersa come un simbolo potente della lotta contro la mafia e contro tutte le forme di ingiustizia. La sua storia è raccontata in libri, film, opere teatrali e ogni anno, il 9 maggio, migliaia di persone si riuniscono a Cinisi per commemorarlo e rinnovare l’impegno per la legalità e la giustizia sociale.
L’esempio di Peppino Impastato continua a essere di grande attualità, soprattutto per le nuove generazioni. Il suo coraggio, la sua integrità morale e la sua incrollabile determinazione nella lotta contro il crimine organizzato rappresentano un monito a non piegarsi mai di fronte alle prepotenze e a impegnarsi attivamente per costruire un mondo più giusto e libero.
“Io ho fatto la scelta di non essere mafioso” – questa frase, pronunciata da Peppino Impastato, racchiude in sé l’essenza del suo impegno e ci ricorda, ogni volta, la necessità di scegliere senza paura da che parte stare.


