Lo scirocco che ricaccia il fiato in gola e produce il disarmo dei nervi e delle dispute.
Quando sono atterrato a Chennai con il volo che aveva fatto scalo a Nuova Delhi da Roma ho vissuto quella nuova rotta verso sud oltre che verso est non solo con il cambiamento dei volti e dell’abbigliamento mutati nell’itinerario; io sono rimasto nell’aereo come praticamente l’unico occidentale a bordo. Ho però anche sperimentato come la temperatura sia cambiata repentinamente diventando – strano a dirsi – molto più fredda e facendomi apprendere che forse per la cultura indiana probabilmente i locali particolarmente accoglienti o di lusso sono quelli che possono offrire un’aria condizionata particolarmente fredda e parlo di una temperatura intorno ai 15-17 gradi.
Soprattutto questo ha comportato che avessi una grande sensazione quando ho varcato la soglia dell’aeromobile per arrivare nel terminal dell’aeroporto di Madras, sentendo addosso davvero un’invasione di scirocco che definire tale è davvero limitato. E quell’aria che di per sé aveva già una entità sua mi ha avvolto e non mi ha lasciato.
Ci ho convissuto per molte settimane nel periodo che ho vissuto laggiù; era una sensazione di aria umida e calda ma usualmente in movimento che causava da fermo quello che sentivo solo nelle giornate più calde della mia adolescenza sul motorino: un vento caldissimo che esaltava la mia gioia, la mia vita, che mi spingeva contro l’urgenza di non fermarmi per evitare di permettere al caldo di penetrarmi nella pelle e di strizzarmi fuori sudore da ogni poro.
E lo stile di vita relativo ad un posto in cui la normalità è un’aria del genere è legato a doppio filo e si traduce nel modo di vestire, nel modo di mangiare, nel modo di comportarsi. Da quelle parti, nell’estate perenne che ho vissuto prima di quella dei monsoni nel Tamil Nadu, il cibo anche se ottimo e speziato non è la priorità e men che meno lo è la carne, di ogni tipo, e gli alcoolici o il fumo sono addirittura invisi, avvertiti come più che superflui ma non rilassanti o rinfrescanti perchè per il primo basta lasciarsi andare, per il secondo basta mettersi all’ombra o davanti a qualcuno dei molti fan, cioè dei ventilatori che sono il modo più diffuso per trovare refrigerio o almeno un minimo di tregua negli uffici, nelle case, negli spazi pubblici.
E la gestione del tempo e delle energie in quelle condizioni climatiche ne viene sicuramente condizionato, e anche tutta la vita finisce per adattarvisi, ritrovando a riformulare le priorità e le necessità, riducendo la voglia di parlare tanto per farlo, o perfino di respirare se più del dovuto. E alla sera, quando l’aria si rinfresca, torna la voglia di fare un giro anche solo per poterla prendere un poco d’aria, prima che ritorni densa e umida e mossa, come il tempo che nella vita di tutti i giorni a volte è talmente denso da risultare un gomitolo che avvolge le giornate nel vischio dei pensieri. Come un bafuogno.


