C’era una volta la distinzione della preparazione di un corredino per nascituro tutto distinto in colori a seconda che il bebè in arrivo fosse un maschietto o una femminuccia. Così si optava per la scelta del blu per il primo, e del rosa per la seconda. Opzione che sarebbe poi stata declinata a vita.
Per fortuna però, i tempi cambiano e al raggiungimento della reale parità di genere ci pensa la moda. La tendenza gender free ci ricorda infatti che uomini e donne oggi possono vestirsi come desiderano, senza distinzioni tra abiti o pantaloni, scegliendo inoltre accessori e colori trasversali.
Ad avvalorare questa tendenza sono proprio i cenni storico-letterari. Basti pensare che nell’Atene del V secolo il blu non apparteneva affatto al colore indossato dagli uomini, così come non esisteva distinzione con il rosa, che ora come allora, può essere facilmente indossato da tutti. Anzi, per dirla tutta, il colore considerato all’epoca femmineo, era il giallo, come si ricorda in un passo delle Tesmoforiazuse di Aristofone, in cui Mnesiloco viene vestito di giallo per essere ridicolizzato, prima di essere legato ad un palo.
Ad introdurre in realtà il blu come colore identificativo per il maschile, per la prima volta fu una donna, esattamente una scrittrice, Louisa May Alcott, nel libro ‘Piccole donne’. Da lì il blu è stato per decenni tinta di genere, fino all’avvento di stilisti come Giorgio Armani, Dolce e Gabbana, Gucci, che hanno di fatto, invertito la tendenza.
TENDENZE MODA GENDER FLUID, DA ARMANI A GUCCI LA MODA NON CONOSCE SESSO
Pioniere del concetto fashion di gender fluid o free su larga scala, è stato Giorgio Armani, primo stilista a rifiutare le etichette del maschile e femminile, disegnando abiti di inclinazione globale. Il gusto androgino della donna è stato il suo vero cavallo di battaglia. Nel 1976 lo stilista debuttò con una collezione che vestiva il femminile con blazer, tweed, camicie accollate e naturalmente pantaloni atti a dare un look sofisticato ed eccitante al gentil sesso.
Nel 1984 anche Jean Paul Gaultier segue le sue tracce e disegna la collezione Men in skirts, con gonne di ogni forma e dimensione, destinate agli uomini.
Prima di loro, negli anni ’10, lo stilista Paul Poiret disegnava pantaloni ampi per le donne, creando la sua rivoluzione con i pajama pants.
Ancora una donna, come Coco Chanel, osò vestirsi da uomo a fine Ottocento, ispirandosi al mondo delle uniformi maschili, comode e pensate per dare agilità ai movimenti. La funzionalità doveva avere la precedenza e questo fino ad allora era un privilegio riservato ai soli uomini.
Nel mondo della musica David Bowie aveva preceduto Armani, debuttando nel video di Ziggy Stardust con un costume gender free, disegnato da Kansai Yamamoto. Era il 1974 e la vivacità di sperimentazione iniziava a farsi sentire.
La vera icona di stile fluido fu però ai primi del Novecento, Greta Garbo, divina e provocatrice con la sua interpretazione in abiti maschili del cult La regina Cristina di Rouben Mamoulian del 1933, in cui appare anche uno dei primi baci lesbici della storia del cinema. Le fa ampio eco solo Marlen Dietrich che indossa lo smoking nel film ‘Marocco’.
Nei decenni successivi la moda ha iniziato a mescolare le carte in un gioco in cui le donne si abbigliavano da uomini e viceversa. Madonna, Jean Paul Gaultier, Freddie Mercury, fino a Lady Gaga, ci hanno traghettato in un concetto moderno di costumi decisamente unisex.
Si parla dunque di nuova sensibilità gender fluid, scelta ad esempio dalle collezioni odierne di Gucci che si è fatto portavoce a Milano, vetrina della moda internazionale, di una genderless fashion fatta di capi eterei e borderline. Dal 2016 l’haute couture è aperta al concept unisex delle passerelle, tanto che Chanel si spinge ancora più oltre, lanciando sul mercato una linea make up tutta al maschile, denominata ‘Boy de Chanel’.
La moda non ci chiede dunque di omologarci, ma ci lascia liberi di esprimerci rispetto a ciò che la cultura stereotipata impone. L’abbattimento di questi confini si concretizza definitivamente in passerella con la sfilata della prima modella transgender Lea T, icona di questo concetto fin dal 2010, quando Givency la scelse per le sue campagne pubblicitarie.
Al bando dunque le etichette per la realizzazione di una vera parità di genere attraverso la scelta di ciò che viene considerata la nostra seconda pelle, ovvero l’abito che indossiamo per vestirci.