‘La pietà di Gaza’, da un concorso fotografico alle ragioni del mondo

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Immagini come fotografia dei nostri tempi. Passerano gli anni e la foto a colori, in completa distonia con la cruenza di questo 2024 in Medio Oriente, perennemente in guerra e dunque tinto di bianco e nero, con sprazzi di rosso sangue carminio, ci ricorderà l’oscurantismo della storia tra Israele e Palestina.

La foto del reporter della Reuters Mohammed Salem ricorda la celebre Pietà di Michelangelo, da cui trae il nome. Toccante, empatica, arriva dritta al cuore quando nella sua semplicità, ricorda l’idea della maternità delle donne, a cui è affidato il compito di essere culla e custode del mondo.

Eppure la protagonista ritratta ne ‘La pietà di Gaza’, questo il titolo della foto che ha vinto il World Press Photo, è una zia che tiene in braccio la sua nipotina Saly di 5 anni, uccisa in un attacco israeliano nella Striscia. Si chiama Abu Maamar e piange insieme a questo corpicino anche quello di sua sorella, madre della piccola e di un’altra nipotina, colpite in casa a Khan Younis in ottobre.

Salem che ha scattato la foto 10 giorni dopo l’inizio del conflitto, ha affidato al suo scatto un messaggio metaforico sull’orrore della guerra, ribadendo la necessità della pace. Per questo, il fatto che tra 61.062 candidature presentate da 3.851 fotografi provenienti da 130 paesi, sia diventata simbolo del mondo, fa capire tutto dell’urgenza del nostro mondo.

La foto resterà esposta nella chiesa Nieuwe Kerk di Amsterdam fino al 14 luglio. Sarà cambiato qualcosa fino ad allora a Gaza? Le spalle piegate su un’innocente avvolta in un lenzuolo bianco, che diventa evocazione di una bandiera della resa alla sofferenza del popolo palestinese, sono scudo per l’innocenza violata. Si inarcano nel pianto e nel dolore contrito, senza palesarlo, ma vissuto intimamente come un colloquio silenzioso della vita che abbraccia l’evidenza della morte procurata. Il soffio di questa esistenza non può animare il sospiro allentato e spento come cerino di candela, in un attimo che danneggia l’innocenza. Il blu della veste della donna, rappresenta la realtà. In molte religioni è il colore del divino, collegato a cielo ed acqua. Comunica intensità e voglia di una spiritualità, qualunque sia il suo nome, a cui aggrapparsi per urlare un ritorno all’umanità. L’ocra del copricapo richiama ad una fierezza antica, quella di un popolo che sta cercando di resistere all’oppressore anche quando quest’ultimo intende schiacciarlo.

Lo scatto rammenta che quella di Gaza è la nuova strage degli innocenti con almeno 12.300 bambini morti nell’enclave negli ultimi 4 mesi, rispetto ai 12.193 morti a livello globale tra il 2019 e il 2022. Sono loro le vere vittime di guerra. Non hanno fatto nulla, se non nascere in una terra che si vuole cancellare col sangue dei più piccoli, a cui sono state sottratte cure ospedaliere con i continui attacchi ai presidi sanitari, oltre a lasciare che tanti neonati venuti al mondo morissero per denutrizione.

‘La pietà di Gaza’ porta con sè le immagini delle tante incubatrici raggruppate a stento negli ospedali ridotti a macerie, dei corpicini allineati in lenzuola bianche mentre i familiari e i genitori andavano a cercarli per riconoscerli. Raggruppa in un’anfora le lacrime di tutti i padri e le madri che stringendo a sè un bambino morto hanno pianto con l’urlo più disperato e disumano che esista: quello di un genitore che ha scoperto repentinamente la gioia del dare la vita precipitata subito dopo nella dannazione del dolore della perdita di un figlio, che sottrae un pezzo di cuore, e di cui è responsabile l’umanità, se non pone fine a quello che in tanti stanno definendo “genocidio”.

Pina Stendardo
Pina Stendardo
Giornalista attenta ai fermenti quotidiani, raccontati con umanità. Convinta che scrivere sia un atto d’amore e responsabilità, ama divulgare il bello dell’Arte e del sociale, proponendo una narrazione alternativa sullo spaccato culturale.

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