Nuovi elementi emergono sul caso Alessia Pifferi. Alla Corte di Assise di Milano arriva un certificato medico che ascrive alla donna, assassina della figlia, “turbe psichiche e gravi ritardi cognitivi” fin da bambina.
A processo per aver causato il decesso di stenti della piccola Diana di 18 mesi, da piccola, a scuola, aveva una insegnante di sostegno a causa dei ritardi mentali.
Anche se nei precedenti appelli era stata dichiarata capace di intendere e di volere, Alessia, secondo quanto presentato in aula all’avvocata Alessia Pontenani, tra i 6 e gli 11 anni d’età era seguita dai servizi di neuropsichiatria infantile territoriale.
Da qui la richiesta avanzata di un’integrazione della perizia psichiatrica, precedentemente svolta da Elvezio Pirfo. La difesa è riuscita a reperire i documenti dal Policlinico, testimoniando che la Pifferi bambina ha portato “ciuccio fino a tarda età e un bavaglino sempre con sé”.
Esistevano dunque dei precedenti di incapacità della donna che apparentemente sembra mentalmente sana. Il pm Francesco De Tommasi ha però controbattuto, sottolineando che quella Alessia di cui parla la difesa, oggi non esisterebbe più. La Pifferi sarebbe dunque capace di riconoscere oggi le sue responsabilità. Da qui la richiesta di rigetto della documentazione.
La perizia non può infatti essere modificata perchè in tal caso si parlerebbe di problemi di apprendimento, oggi molto frequenti tra i bambini.


