Era il 16 settembre 2022 quando, a cinque giorni dal compimento del ventitreesimo anno, la giovane iraniana di origine curda, Mahsa Amini, veniva uccisa mentre era in custodia cautelare della polizia iraniana per essere stata sorpresa a passeggiare per le strade di Teheran indossando l’hijab in maniera scorretta.
La reazione alla sua uccisione fu immediata e le piazze iraniane si riempirono di manifestanti in cerca di giustizia e verità.
Tra questi anche Toomaj Salehi, rapper di protesta che, durante le rivolte, aveva pubblicato una canzone molto critica nei confronti della Repubblica islamica, diventata un inno per molti manifestanti.
L’artista 33enne aveva ricevuto una condanna a sei anni e tre mesi nel 2023, ma una decisione della Corte Suprema aveva escluso la pena capitale.
Dopo 250 giorni di carcere Toomaj Salehi era stato rilasciato per poi tornare dietro le sbarre dopo due settimane a causa di un video pubblicato sui canali social in cui raccontava di aver subito violenze e torture durante la detenzione.
Arriva, dunque, la condanna a morte resa nota dall’avvocato del giovane che, dal suo canto, ha cercato di limitare il dilagare della notizia per l’impatto psicologico negativo che poteva avere sui suoi fans.
La sentenza inflitta al rapper ha sollevato un coro di proteste da parte di attivisti per i diritti umani e politici e potrebbe portare ad un nuovo scontro tra Berlino e Teheran dopo che la Germania era stata tra le voci più dure nel condannare il regime degli ayatollah per la repressione delle proteste del 2022, dove sono morte oltre 500 persone negli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine.
La parlamentare tedesca Ye-One Rhie, esponente del Partito Socialdemocratico al governo che già in passato si era schierata in difesa del rapper, ha definito la sentenza “assurda” e “inumana”.
A commentare la sentenza anche la deputata del Pd Lia Quartapelle che afferma: “Quel regime è rimasto della stessa ferocia e brutalità: non voltiamoci dall’altra parte, non dimentichiamoci di chi lotta per la libertà”.