Aumenta l’inflazione e diminuisce il potere di acquisto. L’Italia è fanalino di coda dal 2019 ad oggi per la retribuzione minima. Se la Grecia la incrementa al 6% seguendo la linea Ue dal primo aprile, il nostro Paese non riesce ad adeguarsi al salario minimo.
Germania e Belgio hanno stanziato retribuzioni minime di oltre 2000 € mensili; la Francia si assesta intorno ai 1800 €; in Spagna la retribuzione minima è di 1323 €, mentre Lussemburgo paga ai dipendenti circa 2570,93 €. La Romania è ferma a 663 euro lordi.
Le retribuzioni minime mensili ad Atene si fermeranno invece sui 913 € lordi. Questo significa che mentre il resto dei lavoratori europei sta cercando di recuperare sull’inflazione; gli stipendi degli italiani sono legati alle contrattazioni collettive di ogni categoria ed hanno fatto registrare l’8% di perdita rispetto a quanto veniva guadagnato nel 2019.
Di fronte al caro prezzi di alloggi, bollette energetiche e di alimentari, gli italiani non riescono ad arrivare a fine mese. Per questo la direttiva Ue ha chiesto agli Stati membri di impegnarsi a rafforzare e promuovere la contrattazione collettiva, cercando di raggiungere i criteri fissati per il salario minimo.
Un italiano su tre guadagna dunque intorno ai 1000 €; come la metà dei pensionati. L’Ocse calcola infatti che la ricchezza degli italiani (fatta eccezione per i dipendenti che lavorano a Milano dove gli stipendi sono tra i più alti del paese con una media di 35.000 € all’anno), ha dovuto fare i conti con gli aumenti che sono andati ben oltre il tasso annuo di inflazione. A risentirne sono state soprattutto le famiglie. La conseguenza è anche una decrescita demografica con riduzione di investimenti nel pubblico e privato.
Da un punto di vista occupazionale fa preoccupare anche il dato di impiego delle donne in età da lavoro. Potrebbero essere un motore di lavoro importante, ma sono ancora scarsamente impiegate: 49 su 100 sono effettivamente occupate nel nostro Paese, rispetto alle 71 su 100 della Germania e alle 64 su 100 della Francia.