Allucco

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Da un balcone all’altro, allucchi di andata e di ritorno modulando le tonalità.

Altra cosa rispetto allo strillo, alle grida, al richiamo. Nella vecchia città nuova è mezzo di comunicazione, è modalità con cui ci si esprime presa in prestito dal modo più semplice con cui attirare l’attenzione per una richiesta, per una domanda, per una merce.

Per me è una radice conficcata dentro, è un ricordo antico a cui non riesco a dare una definizione specifica. Per me l’allucco oltre a un modo per redarguire o apostofrare genericamente qualcuno si stacca per me dalla parola per sublimare in qualcosa di subito indefinibile, così alto da travalicare la descrizione. E’ allucco quello che si sente dentro quando tutto è dato via, quando ogni cosa scompare e quando tutta l’attenzione è sfumata verso il fuori e non resta che il rivolgerla verso di sé. E se è vero che ne ho già parlato altrove è anche vero che se leggo questa parola non riesco a pensare che a un treno che entra in galleria e che al buio fa un grande rumore, continuo e modulato ma che sembra infinito. Ci ho fatto un lungo viaggio da solo in auto, con questo allucco in testa. Non è servito che a farlo smorzare; e anche se è ridotto non è scomparso, come il segno che ti lascia un allucco anche tempo dopo averlo udito. 

Immagine in licenza CC BY-NC-ND 2.0 DEED

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