L’esperienza di Mario Draghi come presidente del Consiglio dei Ministri sembra ormai volgere al termine. Nonostante la fiducia incassata ieri (20 luglio 2022) in Senato con 95 voti favorevoli su 133 senatori votanti, i presupposti per continuare non ci sono più, la maggioranza è letteralmente spaccata e un politico navigato come Draghi lo ha capito bene. Ieri il premier nei suoi 36 minuti di intervento, si è rivolto, senza citarli direttamente, soprattutto a Lega e M5s che non a caso non si uniscono all’applauso che segue la fine del discorso in Aula.
La Lega non applaude mai, notano con una certa soddisfazione gli alleati di Fdi. Certo, Draghi apre all’autonomia, alla riforma delle pensioni, ai miglioramenti al reddito di cittadinanza, al mantenimento degli obiettivi di transizione ecologica, alla risoluzione delle criticità sul Superbonus. Ma poi, incalza: non si può chiedere la sicurezza energetica per gli italiani e al tempo stesso “protestare” contro i rigassificatori. Non si possono sostenere le riforme e poi dare la sponda alla piazza, come nel caso dei taxi, inoltre rispedisce le accuse al mittente ribadendo di non aver chiesto mai “pieni poteri”.
Schemi e strategie ormai non ce ne sono più, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto il possibile, ma lo strappo ormai non si può più ricucire. L’ex numero uno della Bce, oggi, riferirà alla Camera, poi salirà al Quirinale per rassegnare le dimissioni davanti al Capo dello Stato, game over, l’Italia si prepara alle urne, trapelata anche una ipotetica data, ovvero quella del 2 ottobre.