‘L’ombra di Caravaggio’ finalmente al cinema. Con Giordano Bruno sul grande schermo, Gianfranco Gallo svela il rapporto tra divino, uomo e conoscenza

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Lo si attendeva da tempo ed è finalmente arrivato sul grande schermo. ‘L’ombra di Caravaggio’ è l’ultimo film del regista Michele Placido – interprete anche della pellicola dedicata a Michelangelo Merisi – che sta riscuotendo successo al box office, riproponendo gli anni napoletani di Caravaggio.

In un gioco di luci ed ombre, tipiche della tecnica pittorica del Merisi, la pellicola mostra l’intima concezione dell’artista Caravaggio, posto alla berlina in pieno clima del Concilio di Trento. La pittura di Michele diventa teatro e i suoi soggetti mostrano realmente il senso del messaggio religioso di età barocca. Il Caravaggio di Placido è un uomo ossessionato dalla voglia di raccontare una visione religiosa rivoluzionaria, fatta di storie bibliche in cui il divino è negli ultimi, nella verità dei loro dolori, nelle membra che recano impronte sudice che egli ama. In ogni ferita dell’uomo preso dalla strada, c’è tutta la rappresentazione degli infiniti mondi umani; contesti che assemblano (quasi ereticamente), la visione del Merisi a quella di Giordano Bruno. Michele Placido inserisce nello stesso contesto il frate domenicano che rivendicò la sua autonomia di pensiero, alla stregua di Caravaggio. Dona pari valore ai due uomini, in un incontro segnato dalla prigionia, in attesa di condanna e in una stretta di mano simbolica, che lega i due destini, così vicini nell’amare infinitamente Dio.

Accanto ad un eccezionale Riccardo Scamarcio, lo spettatore applaude la meravigliosa interpretazione di Giordano Bruno, che dona ancora più valore al messaggio pittorico di Caravaggio. Gianfranco Gallo è l’attore deputato a riproporre in questa pellicola difficile da dimenticare, il rapporto tra divino, uomo e conoscenza. La sua esperienza professionale conferisce umanità e follia intensa al filosofo nolano; la carica di eroico furore, tanto che le battute proferite sullo schermo, diventano lame per la coscienza del tempo, rea di aver mandato al patibolo un frate che affermava il carattere finito ed ombroso dell’uomo. Il Bruno di Gallo si fa carne dopo secoli e nella lotta per non morire, per non soccombere al volere della Santa Inquisizione, digrigna i denti e spalanca gli occhi per catturare, nel dolore, l’attenzione cosciente dello spettatore.

Grande è la resa scenica di Gianfranco, artista senza ma e senza se; navigato nel suo saper scrivere, pensare, dirigere e restituire. Nella sua lunga carriera iniziata nel 1981 a teatro con Roberto De Simone, c’è tanto cinema, altrettanta tv, ma soprattutto moltissima dedizione, tutta palpabile nel ruolo di recente interpretato (quello di Giordano Bruno), per il quale l’artista si è preparato con grande dedizione, come ci racconta in questa intervista.

L’INTERVISTA – GIANFRANCO GALLO E’ GIORDANO BRUNO NE ‘L’OMBRA DI CARAVAGGIO’

– Gianfranco, ‘L’ombra di Caravaggio’ è uno di quei film indimenticabili che sta piacendo al box office, così come il ruolo che in esso interpreti, ovvero Giordano Bruno. In che modo ti sei preparato per interpretarlo con tanta intensità?

Ho cercato di capire chi realmente fosse, cosa pensasse per i suoi tempi, Giordano Bruno. Le caratteristiche generali di questo personaggio storico, come di altri, sono facilmente rintracciabili dalle fonti. Quello che lo è meno, è il suo aspetto fisico. Da attenti studi ho capito che fosse di bassa statura, che non si curava molto. Approfondendo la mia ricerca, ho compreso che avesse l’aspetto del classico “munaciello”: piccolo di statura e delirante tutto il giorno. Ed è quello che ho cercato di restituire nella scena girata interamente nella Galleria Borbonica di Napoli. I sotterranei sono stati il suo set. Per restituirne l’intensità sono stato per 8 ore di fila in Galleria, mentre il resto degli attori ogni tanto usciva per prendere una boccata d’aria e riaversi dall’umidità dei luoghi. Sono stato volutamente rinchiuso nella cella che vedete al cinema. Ho provato così tutta la stanchezza fisica e quel rossore che vedete intorno ai suoi occhi, non è dato da alcun trucco scenico, ma dalla sofferenza che ho sperimentato fisicamente in quella ambientazione. Certo le cicatrici sono effetti scenici, ma tutto il pallore, la contritezza, il delirio intenso di quella ribellione, è uscito fuori dal tempo prolungato per cui sono rimasto nei sotterranei. Volevo dare verità ad un uomo come tutti, che si è battuto per il suo pensiero. E mi è piaciuto restituirgli anche un po’ di umanità e sensibilità, palese nel momento in cui dichiara a Caravaggio di aver paura di morire e per questo gli stringe le mani.

Come è stato lavorare con Michele Placido alla regia?

Michele è un regista che mi ha colpito perchè rispetto ai colleghi più giovani che fanno moltissime inquadrature sul set per avere il risultato che inseguono, ha già il film nella sua mente. Con lui sono bastate una o al massimo due inquadrature per avere l’effetto che trovate sul grande schermo. E’ un professionista che dà anima al concetto che intende esprimere. Questo film lo ha pensato proprio mentre era a Campo dei Fiori a Roma ed è lì che ha deciso di far incontrare Caravaggio e Giordano Bruno, per quanto non esistano attestazioni reali di un loro avvenuto incontro, in un periodo storico da entrambi condiviso. In maniera prefigurata però, sia il pittore che il frate filosofo, hanno vissuto il medesimo destino di condanna del pensiero dell’epoca, in quanto simboli di ribellione e libertà.

Il tuo personaggio è un filosofo che ha pagato con la vita la profondità del suo pensiero rivolto al Divino. Cosa credi che Giordano Bruno possa comunicarci oggi?

Credo che il concetto di infiniti mondi da lui elaborato, sia un discorso ecumenico. Siamo infiniti mondi noi stessi. Inoltre, non dobbiamo pensare di essere soli a questo mondo. Il pensiero di Giordano Bruno è immanente e trascendente, nel senso che nell’infinità dei nostri mondi, non possiamo fare a meno dei più deboli, di coloro che sono distanti da noi non solo per luoghi di appartenenza, ma anche per forme di pensiero e modi di vivere. Noi ancora oggi discutiamo di navi da far attraccare nei nostri Paesi, quando è stabilito da studi scientifico-sociologici, che entro il 2050 accoglieremo milioni di persone intorno a noi, da diversi luoghi, proprio perchè non siamo soli, nè dobbiamo considerarci tali nel senso di valenza a questo mondo.

– ‘L’ombra di Caravaggio’ è l’esaltazione piena e contrastante dell’Arte. Che rapporto hai con essa?

Penso che l’arte sia un modo di esprimersi e se accoppiata al talento diventa qualcosa che valica il tempo. Ho una concezione totalizzante dell’artista. Alcuni quando parlano della professione di attore, dicono di fare l’attore. Credo che questa sia espressione che caratterizza in modo limitante un mestiere. L’artista è colui che motiva ciò che fa; è un modo di vivere. Un artista lo è sempre, 24 ore su 24 e la sua vita (dentro e fuori) è dedita all’arte, ai suoi impegni e alla gente che ne fruisce.

– A proposito di artista, quale pensiero hai su Caravaggio e sul tuo collega Riccardo Scamarcio, avendo potuto osservarli entrambi ad intra, grazie a questo film?

Penso che Riccardo abbia fatto un lavoro egregio. Lui è in Caravaggio come Caravaggio è nella sua persona. Ci sono molte somiglianze fisiche e caratteriali, tipiche della creatività che li caratterizza entrambi. Quanto all’arte di Caravaggio, essa era totalizzante e il Merisi è un personaggio di tutti perchè esiste e resiste nel concetto di bellezza che deve subire delle regole, pur non avendone bisogno. Caravaggio è stato un rivoluzionario ed in questo lo sento vicino a me, in quanto voce fuori dal coro. Ma alla fine penso che la coerenza ripaghi sempre e la sua fortuna, anche se postuma, ne è dimostrazione. Caravaggio è l’evidenza palese del fastidio che dà il talento, incuneato allora nel Sant’Uffizio, come oggi nella società in cui viviamo.

– Cosa aggiunge questa esperienza cinematografica al tuo curriculum vitae?

Aggiunge la consapevolezza che bisogna crearsi sempre degli ostacoli per riuscire a superarsi. Per me lo è stata la cella, inserita come ambientazione del girato. Questa esperienza è arrivata all’improvviso nella mia carriera; a cinque giorni dall’inizio set per cui sono stato convocato. Naturalmente quando ho letto il copione subito ho accettato anche se dovevo conciliare questo lavoro con un altro set su cui stavo recitando in Puglia. Ho imparato le battute di notte, con grande dedizione, dal momento che le parole di Giordano Bruno sono pensiero filosofico che non può essere tradito. Ci ho messo lavoro e fatica e questo fortunatamente sta arrivando al pubblico.

– Da sempre ti alterni piacevolmente tra teatro, fiction e cinema. Dopo il successo de ‘L’ombra di Caravaggio’, dove potremo ammirarti?

Sto girando una serie tv per Canale 5, ‘La voce che hai dentro’, con Massimo Ranieri, Maria Pia Calzone, Nando Paone, Ruben Rigillo, Erasmo Genzini, Roberto Olivieri, Michele Russiello e Giulia D’Aloia . Quanto al cinema, sto lavorando per la seconda volta con Davide Minnella impegnato nella regia del film ‘Cattiva coscienza’, condiviso sul set con Filippo Scicchitano, Francesco Scianna e Matilde Gioli. Un’altra pellicola che mi vedrà protagonista è ‘Amelia’ di Daniele Salvo, con Ida Di Benedetto. A breve ricalcherò anche i palcoscenici teatrali, con il fortunato spettacolo ‘Quartieri spagnoli’, un musical da me scritto, ispirato alla Lisistrata di Aristofane, riadattata nel momento in cui le donne napoletane della camorra si negano ai loro mariti, per evitare di dar vita ad una nuova generazione violenta. Saremo in scena al Teatro Barone il 26 novembre ed al Trianon Viviani dall’ 1 al 4 dicembre 2022. In questo progetto condivido le scene con tanti giovani attori ai quali mi piace poter tramandare quanto negli anni ho imparato a teatro da grandi maestri come Mario Scarpetta, De Simone o i fratelli Giuffrè.

Pina Stendardo
Pina Stendardo
Giornalista attenta ai fermenti quotidiani, raccontati con umanità. Convinta che scrivere sia un atto d’amore e responsabilità, ama divulgare il bello dell’Arte e del sociale, proponendo una narrazione alternativa sullo spaccato culturale.

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