Maurizio De Giovanni tra gli ospiti conclusivi della tre giorni di ‘Napoli città libro’, manifestazione dedicata al mondo dell’editoria, giunta ieri alla fine della sua quarta edizione.
Scrittore, autore ed ora presidente del ‘Premio Napoli’, rassegna letteraria partenopea, De Giovanni si rivolge al pubblico di lettori napoletani e non solo, salendo in cattedra per parlare del potere della scrittura.
“Napoli ha sempre avuto grandi riferimenti culturali: Ermanno Rea, Domenico Rea, Michele Piscopo e prima, per la generazione precedente, c’erano Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo, i fratelli De Filippo, Eduardo Scarpetta, Raffaele Viviani, e potrei continuare. Per una volta, diciamocelo, che siamo orgogliosi di noi e che questa rassegna è bellissima e siamo fortunati ad averla, nonostante una certa stampa si sia anche divertita a cercare qualche ragione di polemica?”.
Lo scrittore coglie l’occasione per divulgare il suo pensiero sulla validità della manifestazione e lo fa approfittando di una nutrita presenza di giornalisti presenti al salone del libro napoletano. “Qui c’è solo la bella ragione di venire a parlare di libri – continua de Giovanni – lettura e scrittura sono due momenti individuali, ma queste sono occasioni in cui ci rivediamo tutti insieme ed un libro non diventa più un fatto singolare, ma collettivo”.
Maurizio, accorato narratore del mondo partenopeo, traccia successivamente l’idea del suo racconto perfetto: “Se esiste, è certamente quello che attiva l’immaginazione. Un libro gode del 50% di fortuna grazie alla linea visiva che attribuisce ad esso il lettore. Pessoa diceva che non esisterebbero libri se non ci fossero persone pronte a leggerlo. Un libro è perciò come una madre che dà da mangiare ai suoi figli e che se non lo facesse, gli negherebbe una crescita adeguata. Così è anche lo scrittore, che attraverso le sue parole, alimenta l’immaginazione di chi legge. Spesso mi si chiede la ragione per cui tratteggio in questo o in altro modo i miei personaggi – sottolinea lo scrittore – ed in riferimento soprattutto ai protagonisti de Il commissario Ricciardi, mi sento ripetere che ognuno ha le sue aspettative sull’evoluzione di uno di essi…ecco, se non ci fosse questa interazione tra autore e lettore, non esisterebbero storie allettanti; anzi, le storie finirebbero per restare chiuse in se stesse”.












