Mal di carcere, quando la fragilità diventa suicidio

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Record di suicidi nelle carceri italiane. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio è preoccupato dei dati in crescita del 2024. L’annus horribilis ancora in corso, ha fatto registrare ben 29 suicidi di detenuti. Il timore è che si superi il numero di 84 del 2023. La media è di un suicidio ogni 4 giorni, come riporta l’associazione Antigone.

Da qui l’interrogativo sull’escalation della reazione del disagio psicologico dei detenuti, sfociato in un decreto firmato da Nordio, stanziante 5 milioni di euro in tema di prevenzione e supporto psicologico della popolazione carceraria.

L’ultimo suicidio in carcere risale al 2 aprile. A Cagliari un 32enne si è impiccato in cella. Ad essere coinvolti nel fenomeno non sono solo i detenuti, ma anche gli agenti di polizia penitenziaria. In 3 si sono uccisi dall’inizio dell’anno.

Sembra che i suicidi avvengano spesso nei primi sei mesi di detenzione, quando ci si deve abituare al distacco dalla realtà e alla consapevolezza che il fermo determinerà una pausa più o meno lunga della propria vita, messa gioco forza in stand by.

Da qui la necessità di incrementare il personale non solo di psicologi, che dia supporto ai detenuti, così come l’esigenza di aumentare le telefonate con i familiari, creando occasioni di occupazione durante la detenzione.

Il sovraffollamento è un’altra conseguenza della pressione psicologica carceraria. Condividere la cella in spazi angusti e troppo limitanti per più persone, incide sull’accettazione della vivibilità dello spazio carcerario. Il problema è evidente soprattutto in Puglia, che detiene il record di strutture con più detenuti, mentre la ‘maglia nera’ per suicidi spetta al carcere di Taranto, dove ben 5 sono stati i casi registrati.

Gli ambienti ostici carcerari, con fatiscenza e scarsa manutenzione di impianti di riscaldamento o di acqua calda, inghiottiti da scarse condizioni igieniche, logorano la mente del detenuto che rispetto all’accettazione dell’invivibilità, sceglie di abbandonarsi alla sua  fragilità emotiva. Il cosiddetto “mal di carcere” monta nell’animo della persona incarcerata, andando ad alimentare l’inevitabile senso di solitudine che per natura ogni individuo rischierebbe di provare in una condizione di isolamento forzato.

Se di certo nessun detenuto dovrebbe aspettarsi una villeggiatura dalla permanenza carceraria, è pur vero che la privazione di alcuni fondamenti dignitari, senza voler generalizzare, diventa determinante nella mediazione tra accettazione della pena e risposta alla detenzione. Il problema ha coinvolto perfino i centri pastorali. Di recente infatti il direttore del Centro per la pastorale carceraria dell’arcidiocesi di Napoli, don Franco Esposito, ha asserito: “I suicidi dei detenuti a cui stiamo assistendo in questi giorni sono il frutto di un albero cattivo, ovvero il carcere così com’è inteso in Italia. E da un albero cattivo non possono nascere frutti buoni”. Il cappellano del carcere di Poggioreale, ha infatti realizzato tre settimane fa, un presidio in collaborazione con le associazioni “Liberi di Volare” e “Sbarre di Zucchero”, coinvolgendo perfino l’intervento l’arcivescovo di Napoli, Mimmo Battaglia.

“La situazione di tanti, troppi detenuti della nostra città e del nostro Paese non è degna della nostra Costituzione repubblicana, la quale considera prioritaria non solo la tutela di tutti gli esseri umani ma anche la finalità educativa della pena”, ha sottolineato Battaglia, rispondendo al quadro presentato da don Franco, la cui testimonianza ha raccontato di un suicidio di una guardia penitenziaria.

“Il primo funerale che ho celebrato – ha dichiarato alla stampa il don – dopo essere diventato cappellano, è stato proprio quello di un agente. Si cercano le motivazioni di questi gesti nei problemi psichici. In realtà, l’unico responsabile di queste tragedie è proprio il carcere così com’è, che troppo spesso, concentrandosi sulla pena da far espiare, dimentica l’umano da salvare”.

Pina Stendardo
Pina Stendardo
Giornalista attenta ai fermenti quotidiani, raccontati con umanità. Convinta che scrivere sia un atto d’amore e responsabilità, ama divulgare il bello dell’Arte e del sociale, proponendo una narrazione alternativa sullo spaccato culturale.

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