Politica e società unite nel solidarizzare con i lavoratori della centrale elettrica di Suviana, da tre giorni al centro della cronaca italiana per infortuni e decessi post scoppio. Oggi sindacati ed italiani sono scesi in piazza in tutto il Paese per chiedere maggiore sicurezza sul lavoro.
Ieri in Parlamento si è osservato un minuto di silenzio; oggi l’Emilia-Romagna è ferma per otto ore di lutto. Niente propaganda, né ideologia. La tragedia di Suviana nel Bolognese induce gli italiani a riflettere ancora una volta sui diritti dei lavoratori, su carta e nella retorica garantista considerati fondamentali, ma poco tutelati nella pratica di fatto.
Dalla ricerca di Suviana dei 100 operatori dei vigili del fuoco nessuna novità sui dispersi. Sul luogo stanno operando specialistici Usar (Urban Search and Rescue), sommozzatori, unità Speleo Alpino Fluviali, squadre ordinarie ed esperti topografi. Intanto la procura di Bologna ha aperto un’inchiesta sull’esplosione. Le ipotesi di reato sono disastro colposo e omicidio colposo.
Il sindaco di Bologna Matteo Lepore, ha lanciato il suo appello: “Enel e il Governo collaborino con la giustizia perché il nostro territorio è già stato martoriato troppe volte”.
“Tutto cambia dopo Suviana”, gridano i sindacati. Intanto il 2024 secondo dati Inail, in soli due mesi ha fatto registrare 92.711 denunce di lavoratori per infortuni (+7,2% rispetto a gennaio-febbraio 2023), 119 casi con esito mortale (+19,0%).
Il lavoro da amico diventa così killer silenzioso. L’assenza di una seria volontà d’azione sul tema è l’aggravante sulle morti bianche. Accade un episodio e si piange pensando al da farsi; dopo un po’ si azzera la criticità della situazione entrando in una narrazione che bada alla produttività, sottovalutando la dignità del lavoratore, che è un uomo e deve lavorare in condizioni accettabili non solo economiche, ma soprattutto di tutela della salute e della sicurezza. Ecco che gli interventi ex post sono sempre poco efficienti, perchè il problema è dare continuità alle soluzioni, magari con più obblighi e controlli che rendono effettivamente attuate e non attuabili su carta, le misure a tutela delle persone occupate. Poche sono infatti le risorse umane e non solo, destinate alla vigilanza della sicurezza dei lavoratori.
Pochi aggiornamenti tecnici e la retorica del ‘fino ad ora non è successo niente’, fanno comprendere che la falla sul tema è culturale. Ci avviciniamo alla data del 28 aprile, stabilita proprio come giornata mondiale per la salute e sicurezza sul lavoro e i dati a cui facciamo riferimento, così come le tragedie su cui occorre mettere una ‘toppa’ apparente, fanno cadere la narrazione nel contraddittorio. “La sicurezza non è un costo, non è un lusso ma è un dovere, un diritto inalienabile per ogni persona”, ha ricordato il presidente della Cei, cardinale arcivescovo Matteo Zuppi, partecipando alla protesta dei sindacati dopo Suviana.
Ed è forse sui costi che si concentrano le reali problematiche delle aziende che non tutelano i lavoratori. Il 30% di esse è costretto a rivolgersi ad un consulente professionista per l’analisi del rischio e gli adempimenti successivi. I costi medi sono di 3.000 euro per avere la tranquillità della conformità alla normativa.
Il rischio nelle aziende è legato al 93% all’uso dei macchinari; l’1% alla presenza di polveri dannose per i dipendenti. Altro costo da prevedere sarebbe dunque quello degli adeguamenti strutturali, con tanto di verifica impianti elettrici e vie di fuga per cui si va dai 3.000 euro in su. Per le dotazioni di sicurezza guanti, tute, maschere, si può spendere dai 500 euro in su. A queste spese si aggiungono quelle per gli adempimenti formali e manutenzioni (valutazione rischi, certificazione prevenzioni incendi, ecc.) oltre che per la formazione (datore di lavoro, addetti antincendio), che potrebbe far lievitare i conti in modo consistente. Altra voce in rosso è quella della formazione del titolare aziendale. Nella somma totalizzante degli investimenti per la sicurezza del lavoro risiede dunque, il problema che crea disagio e reiterazione del danno.
Coniugando allora politiche a sostegno di imprese e lavoratori, con controlli e formazioni capillari, forse l’asticella numerica delle morti bianche potrebbe iniziare ad abbassarsi, anche se il problema resta ed è circoscrivibile sempre e comunque alla volontà del fare.