Quello delle baby gang si rivela un fenomeno in crescita preoccupante che imperversa in oltre metà d’Italia. Secondo un recente report del Viminale, bande giovanili sono state protagoniste di “sporadiche attività violente o devianti” in ben 73 province italiane.
Le gang sono composte da un numero esiguo di membri, generalmente tra i 10 e i 15, con un’età media che oscilla tra i 15 e i 24 anni. Prevalentemente maschi, i componenti sono sia italiani che stranieri, di prima o seconda generazione.
Il fenomeno interessa tutto il territorio nazionale, con una leggera prevalenza al Centro-Nord rispetto al Sud. Le regioni più colpite risultano essere: Lombardia,
Emilia-Romagna, Lazio, Campania, Piemonte e Veneto.
Le azioni criminose messe in atto dalle baby gang sono di solito eterogenee ed includono: risse e aggressioni spesso gratuite e brutali contro coetanei o persone indifese, rapine e scippi mirati soprattutto a rubare denaro, smartphone e altri oggetti di valore, spaccio di droga in particolare hashish e marijuana, spesso tra i minorenni stessi.
Frequenti anche gli atti di vandalismi e danneggiamento, atti di teppismo che mirano a danneggiare proprietà pubbliche o private.
Le gang giovanili si confermano composte da ragazzi spesso provenienti da contesti socioeconomici svantaggiati o con vissuti familiari critici: “Le minori opportunità, la disoccupazione giovanile e la carenza di modelli positivi – spiegano gli autori del report – potrebbero contribuire alla formazione di gruppi che, spesso, catalizzano l’attenzione dei media e delle autorità locali a causa delle loro attività criminali e del loro impatto sulla comunità.” Tra i fattori che spingono i giovani ad aderire ad una gang prevalgono “rapporti problematici con le famiglie, con i pari o con il sistema scolastico, difficoltà relazionali o di inclusione”. Influente anche l’uso dei social network come strumento per rafforzare l’identità di gruppo e generare processi di emulazione o autoassolvimento.
I singoli, fragili e insicuri, assumono potenza all’interno del gruppo: “Il gruppo – si legge ancora nel report – favorisce la sensazione di anonimizzazione e deresponsabilizzazione da parte del giovane che, nel contempo, in tale contesto ‘aggregato’ acquisisce una sicurezza che gli consente di sentirsi invincibile e protetto”.