Caso Ilva, a Taranto pari e dispari tra lavoro e salute

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Una sentenza storica della Corte di Giustizia europea, riapre la voragine sul caso Ilva. L’impianto deve chiudere secondo Bruxelles. Il monito rivolto all’Italia arriva dagli atti che riguardano il ricorso presentato dalla famiglia di Andrea, 11enne tarantino affetto fin dalla nascita da una malattia multi malformativa ed ultra-rara.

Gli incartamenti adesso passano al Tribunale di Milano che dovrà esprimersi in merito al destino dei tarantini e dei lavoratori.

L’acciaieria di Taranto è la seconda più grande d’Europa, ma rischia di creare ulteriori danni all’ambiente e alla salute della gente. Il criterio è di tutelare la supremazia del cittadino rispetto a quella del fatturato. I giudici di Lussemburgo restano perentori sul da farsi, ma rimandano comunque la patata bollente agli omologhi italiani, affinchè si pronuncino secondo obiettività e rispetto delle normative Ue.

In una Odissea senza fine sul senso dell’Ilva in Italia, la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva già accertato nel 2019 i danni sulla salute procurati dall’acciaieria. Per questo la Commissione Ue antecedentemente, nel 2013, aveva chiesto all’Italia di salvaguardare gli 11mila posti di lavoro annessi all’attività dell’impianto, ma di renderlo anche meno inquinante.

In questo braccio di ferro che non vede vincitori o vinti, dopo anni di querelle nei tribunali e non solo, Bruxelles si prepara a multare l’impianto, ma l’Italia e la sua politica nazionale si adoperano ogni volta per evitare sanzioni.

La popolazione di Taranto non accoglie a braccia aperte l’idea del dictat di ammodernamento a tutela del lavoro, caldeggiata dal governo nostrano, e rivendica il rispetto della propria salute, continuando ad intraprendere azioni legali contro l’Ilva. Ragion per cui il governo made in Italy è sotto pressione ed il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, si è detto pronto a rilanciare il polo industriale per la produzione sostenibile dell’acciaio. 

Seguendo l’ottica del Green Deal europeo l’Ilva è chiamata a non inquinare, dal momento che “in caso di violazione delle condizioni di autorizzazione all’esercizio dell’installazione, il gestore deve adottare immediatamente le misure necessarie per garantire il ripristino della conformità della sua installazione a tali condizioni nel più breve tempo possibile”.

L’Ilva, sotto accusa da anni per disastro ambientale, sottopone i suoi cittadini all’esposizione a diversi cancerogeni tra cui ferro, ossidi di ferro, arsenico, piombo, vanadio, nichel e cromo. A nulla infatti è valsa una prima riconversione dell’impianto avvenuta negli anni ’90. Taranto risulta infatti una delle città con maggiori casi cancerogeni. Nel tempo i dati epidemiologici della città hanno censito: 600 casi di mesotelioma nel periodo dal 1993 al novembre 2021; 400% in più di casi di cancro tra i lavoratori impiegati nelle fonderie ILVA; 50% di cancri in più anche tra gli impiegati dello stabilimento, che sono stati esposti solo in modo indiretto; 500% di cancri in più rispetto alla media della popolazione generale non impiegata nello stabilimento.

In compenso però l’Ilva con 8 stabilimenti in tutta Italia, ha dato lavoro a circa 10.500 dipendenti (3 mila in cassa integrazione, di cui 2.500 a Taranto). Taranto rappresenta il cuore dell’acciaieria italiana e con i suoi 15 milioni di metri quadri sui 18 milioni complessivi del gruppo, crea dunque non pochi problemi ad ambiente e salute, che adesso vanno risolti senza mediazioni.

Pina Stendardo
Pina Stendardo
Giornalista attenta ai fermenti quotidiani, raccontati con umanità. Convinta che scrivere sia un atto d’amore e responsabilità, ama divulgare il bello dell’Arte e del sociale, proponendo una narrazione alternativa sullo spaccato culturale.

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