Volti generati dall’intelligenza artificiale sempre più realistici, soprattutto se di carnagione bianca. Lo confermano gli scienziati dell’Australian National University, attraverso uno studio pubblicato sulla rivista Psychological Science.
A quanto pare sono più simili ai volti umani, rispetto ad immagini che riproducono persone di colore. Non si tratta di discriminazione, ma semplicemente di discrepanza derivata dal fatto che gli algoritmi di intelligenza artificiale sono più addestrati sui volti dalla carnagione bianca.
Amy Dawel, autrice senior del lavoro, teme però che questo andamento possa contribuire a rafforzare l’odio razziale online. Lo si evince già nell’applicazione dell’ intelligenza artificiale per creare foto dall’aspetto professionale: “quando vengono utilizzate per le persone di colore, l’IA altera il colore della pelle e degli occhi, rendendolo simile a quello delle persone caucasiche”, ha sottolineato Dawel.
L’iperrealismo dell’IA ha però tanti limiti, oltre questo: tende ad ingannare gli individui che non riescono a distinguere la realtà dalla riproduzione tecnologica. Così, le persone scambiano gli impostori dell’IA per persone reali. Eppure esistono ancora differenze fisiche tra i volti delle IA e quelli umani, ed è bene imparare a percepirle.
Per esempio, i volti caucasici delle IA sono più proporzionati e le persone li scambiano per reali volti umani. Il fatto che l’avanzamento dell’IA prosegua a macchia d’olio, potrebbe presto azzerare qualsiasi differenza esistente tra volti riprodotti con l’intelligenza artificiale e i volti umani. Secondo i ricercatori questa tendenza potrebbe avere serie implicazioni per la proliferazione della disinformazione e del furto di identità, su cui sarebbe opportuno iniziare a stilare delle regolamentazioni giuridiche.
La scienza, pur utilizzando la tecnologia dell’IA, ne presenta i pericoli, evidenziando la necessità di una maggiore trasparenza sull’IA, per ridurre i rischi posti dal suo impiego. “Educare le persone sul realismo percepito dei volti dell’IA potrebbe contribuire a rendere la popolazione adeguatamente scettica nei confronti delle immagini che vede online”, ha concluso Dawel.